domenica 1 settembre 2013

Nunes, tra ortodromie e lossodromie

Facciamo finta che la Terra sia una sfera perfetta. Prendiamo due punti A e B sulla sua superficie e consideriamo il piano che passa per quei due punti e il centro C della sfera. Il piano interseca la sfera terrestre individuando su di essa una circonferenza (che è un circolo massimo, poiché il suo raggio corrisponde al raggio terrestre). Chiamiamo questa circonferenza ortodromia, dal greco ορθο-δρομέω "che corre dritto". L’arco di circonferenza tra A e B, detto arco di ortodromia, è il cammino più breve tra quei due punti sulla superficie sferica. L’unico modo di congiungere A e B in maniera ancora più diretta sarebbe quello di scavare un tunnel tra i due punti che segua la corda sottesa all'arco di ortodromia, ma questo caso venne contemplato solo da Mariastella Gelmini in una storica nota, per cui non ce ne occuperemo.

Immaginiamo adesso di disegnare sulla sfera terrestre il reticolato geografico, con il suo sistema di meridiani e paralleli. I meridiani si incontrano ai poli e, poiché sono tutti circoli massimi, il cammino tra due punti qualsiasi lungo un meridiano, verso Nord o verso Sud, è sempre lungo una ortodromia, sempre il più breve. Tra i paralleli, invece, l’unico circolo massimo è rappresentato dall'Equatore. Solo lungo la linea dell’Equatore è possibile muoversi tra due punti A e B, verso Est o verso Ovest, con la sicurezza che si tratti del cammino più breve. Il fatto che due punti A e B siano posti su uno stesso parallelo, diverso dall'Equatore, non è di alcuna utilità: per definizione una ortodromia è un circolo massimo, mentre i paralleli non lo sono: i piani che li individuano tagliando la sfera terrestre non passano per il centro, perciò le circonferenze parallele sono sempre più piccole man mano che si procede verso i poli, fino a ridursi a un punto in corrispondenza di essi. Analogamente, man mano che ci si avvicina a uno dei due poli, la distanza tra due meridiani si riduce sempre di più, fino a che i due meridiani si incontrano. 


Il calcolo della distanza più breve tra due punti sulla superficie terrestre possiede un’utilità pratica solamente se essi sono lontani. Su piccole distanze, il vantaggio di seguire l’ortodromia invece che un altro percorso è trascurabile. Il capitano di una nave in rotta tra due porti del Mediterraneo all’inizio dell’età moderna poteva fare a meno di tali sottigliezze, tanto più che spesso si preferiva navigare sotto costa ed evitare i pericoli del mare aperto. Il problema della rotta più breve cominciò a porsi in termini stringenti quando le navi incominciarono ad attraversare gli oceani, cioè nei decenni immediatamente successivi al viaggio di Colombo attraverso l’Atlantico del 1492. E ciò avvenne nei paesi maggiormente impegnati nelle imprese di esplorazione (e di conquista). 

Inoltre, se sulla nave abbiamo a disposizione per orientarci la sola bussola magnetica, mantenere la rotta costante, cioè con un angolo costante rispetto al Nord, è facile, ma, come si vedrà, tale rotta non è affatto un’ortodromia, soprattutto alle latitudini più elevate. Per percorrere un arco di ortodromia bisognerebbe mutare continuamente la direzione della nave. I navigatori segnalarono questi problemi di orientamento nelle loro traversate oceaniche. 


Il primo ad analizzare questo problema fu il matematico, astronomo e cartografo portoghese Pedro Nunes (1502-1578), uno dei più importanti della sua epoca. Nel 1537, allegati a una traduzione in portoghese del De Sphaera di Giovanni Sacrobosco, egli pubblicò due trattati sui problemi di navigazione. Il primo di questi, intitolato Tratado sobre certas dúvidas da navegação (Trattato su certi dubbi di navigazione) fu ispirato da alcune domande di Martim Afonso de Sousa, capitano d’armata, esploratore del Brasile tra il 1531 e il 1533. Il secondo era intitolato Tratado em defesa da carta de marear (Trattato in difesa della carta nautica).

In questi trattati, Pedro Nunes sosteneva abbastanza chiaramente che gli archi di circoli massimi (le ortodromie) che costituiscono i percorsi più brevi tra due punti, non sono, tranne che nel caso dell’'equatore e dei meridiani, rotte costanti: se si vuole seguire un’ortodromia è necessario cambiare continuamente rotta (cioè l’angolo con il meridiano):

"[Nell’arte di navigare] ci sono due modi: il primo è seguire una rotta costante, senza variare. Il secondo modo è procedere per circoli massimi". 

E, poco oltre: 

"(…) il cammino che si fa seguendo una rotta non è per un circolo massimo, che è quello diretto e continuo: poiché facciamo sempre con i nuovi meridiani lo stesso angolo con il quale siamo partiti, è impossibile percorrere circolo un massimo (…); è invece una linea curva e irregolare"

È chiaro che Nunes distingue due tipi di rotta: quella che si percorre seguendo l’ortodromia e quella che invece si percorre seguendo un nuovo tipo di curva, che egli descrive per la prima volta e accompagna con alcuni disegni. Nunes sostiene che, tranne che lungo l’equatore o i meridiani, essa non è un circolo massimo e pertanto non costituisce il cammino più corto. Si tratta della prima descrizione di una lossodromia (gr. λοζο-δρομέω, "che corre obliquo"), anche se egli la chiama linha de rumo. Il termine moderno, come tantissime parole della scienza, è un grecismo posticcio, essendo la traduzione della parola olandese kromstrijk (linea curva) usata da Simon Stevin in un commento del 1608 sulla scoperta di Nunes. La prima comparsa di loxodromia si ebbe quando l’opera di Stevino fu tradotta in latino dal connazionale Snellius nello stesso anno.

Una lossodromia è quindi la curva che si descrive sulla superficie terrestre se si mantiene un angolo costante con i meridiani. Nel secondo trattatello, nel capitolo intitolato “Come navigare per circoli massimi” Nunes propone un compromesso tra i due modi di navigare, suggerendo che il pilota deve mutare direzione a intervalli regolari di tempo, in modo che la rotta seguita, composta da tratti di lossodromia, si approssimi a una ortodromia. Così si sommano i vantaggi dei due modi di navigare: costanza della rotta, almeno per certi tratti, e minor distanza da percorrere. 

Ma che tipo di curva è una lossodromia? Nella versione latina dei due stessi trattati, pubblicata nel 1556 a Basilea, Nunes descrive la sua forma: 

"La linea curva è diversa [da una ortodromia] e assomiglia a un’elica"

Infatti la lossodromia è ciò che oggi chiamiamo una spirale logaritmica, la quale inviluppa i poli (che ne rappresentano l’asintoto) e che unisce due punti qualsiasi sulla superficie terrestre, tagliando tutti i meridiani con lo stesso angolo. Il primo a descrivere la lossodromia in questi termini fu il matematico inglese Thomas Harriot nel 1595:

Il metodo che Nunes propone nel secondo testo per tracciare una lossodromia naturalmente non è analitico. Egli descrive un procedimento piuttosto laborioso per disegnare i punti di una lossodromia, che consiste nella risoluzione di diversi triangoli sferici, come si vede nell'illustrazione originale (vedi sotto). Immaginando una nave che parte dall'Equatore in direzione NE, Nunes considera un triangolo sferico in cui un lato è l’arco di meridiano che unisce a, che rappresenta il polo Nord, con il punto di partenza b della nave; il secondo lato, il più piccolo, è la rotta lungo il circolo massimo che si intende seguire; il terzo lato è l’arco di meridiano che unisce il polo con il punto raggiunto dalla nave dopo che ha alzato di un grado di latitudine la sua rotta rispetto a un circolo massimo. Dopo aver prolungato il lato minore del triangolo in modo da disegnare un angolo esterno con il secondo meridiano, Nunes ricorre al teorema dei seni di un triangolo sferico (i seni degli angoli di un triangolo sferico sono inversamente proporzionali ai seni degli angoli opposti) per calcolare la differenza tra questo angolo esterno e l’angolo della rotta nel punto di partenza all'interno del triangolo. Questa differenza fornisce la correzione necessaria per mantenere la nave su una rotta ortodromica. 

Il procedimento di Nunes consente di calcolare successivamente le coordinate dei punti c, e, g, ecc. che si trovano sulla lossodromia. Si tratta ovviamente di una costruzione approssimata: i lati più piccoli dei successivi triangoli sferici sono archi di ortodromia e in ogni iterazione si ha una piccola deviazione rispetto alla lossodromia desiderata. Il matematico allega anche una tabella per rappresentare i risultati dei calcoli per le rotte corrispondenti a sette angoli rispetto ai meridiani, sostenendo, beato lui, che questi valori possono essere ricavati da “adolescenti studiosi, secondo le precedenti dimostrazioni”. Bisogna dire che i marinai portoghesi non utilizzarono mai il metodo di Nunes, troppo raffinato per gli strumenti allora disponibili a bordo e per le capacità di calcolo dei capitani. Tuttavia, l’idea di correggere a intervalli regolari la rotta in modo da approssimare l’ortodromia con tratti di lossodromie è quella che si pratica ancora oggi nella navigazione marittima e aerea.



Oggi la descrizione e il calcolo delle lossodromie si fa con il linguaggio delle funzioni. Sul globo terrestre, le lossodromie corrispondono (qualora non siano «degenerate», cioè che l’angolo iniziale dato non sia nullo) a delle spirali logaritmiche che s’avvolgono intorno ai poli (al polo Nord se l’angolo iniziale è compreso tra ]0, π[ e lo spostamento avviene per latitudini crescenti). Indicando con β l’angolo iniziale formato con il meridiano, con φ la longitudine e con θ la colatitudine (che in coordinate sferiche è l’angolo complementare della latitudine), attraverso un calcolo che comporta il calcolo di equazioni differenziali non lineari, si ottiene:

θ (φ) = 2 arctan (eφ tan β

mentre la lunghezza L della lossodromia vale: 

L = π / 2 sen β 

È facile verificare che se β = π/2 l’arco percorso è il meridiano e la sua lunghezza equivale a un quarto del circolo massimo. 

Importantissima è anche l’opera di Nunes che riguarda la cartografia. Il matematico portoghese sostiene chiaramente che una proprietà auspicabile delle carte nautiche è che in esse le lossodromie siano rappresentate da linee rette. L’interesse per la navigazione è evidente: in una carta del genere, congiungendo il punto di partenza con quello di arrivo con un segmento rettilineo, si ottiene immediatamente la rotta da seguire durante il viaggio. 

Nasce allora il problema di come tracciare carte che possiedano tale proprietà. Si intuisce subito che, in una griglia formata dai meridiani e dai paralleli, la distanza tra questi ultimi deve aumentare con la latitudine. Nei trattati del 1537, Nunes accenna a questa proprietà, che equivale matematicamente alla tracciatura delle lossodromie. Tale proprietà è quella che caratterizza quella che oggi conosciamo come proiezione conforme di Mercatore, dal nome latino del cartografo fiammingo Gerard de Cremer (1512-1594) che nel 1569 pubblicò una carta del globo (Nova et Aucta Orbis Terrae Descriptio ad Usum Navigantium Emendata) ottenuta proiettando la sfera terrestre su un cilindro tangente l’Equatore. Nella carta di Mercatore, i meridiani e i paralleli sono linee perpendicolari, e ciò consente il mantenimento degli angoli e la rappresentazione con segmenti rettilinei delle lossodromie. Tuttavia, mentre la scala delle distanze è costante in ogni direzione attorno ad ogni punto, conservando allora gli angoli e le forme di piccoli oggetti, la proiezione di Mercatore distorce sempre più la dimensione e le forme degli oggetti estesi passando dall'equatore ai poli, in corrispondenza dei quali la scala della mappa aumenta a valori infiniti (a latitudini maggiori di 70° nord o sud è praticamente inutilizzabile). 


Mercatore ricavò con tutta probabilità la sua carta con un metodo grafico e con successive correzioni. La prima vera trattazione matematica delle proiezioni cartografiche sarebbe arrivata nel 1599 con l’opera dell’inglese Edward Wright Certaine Errors of Navigation, nella quale citò spesso Nunes e dedicò la maggior parte del primo capitolo alla discussione della sua opera sulle carte nautiche. 


Qui trovate una bella applet del dipartimento di matematica dell’Università di Ferrara per tracciare ortodromie e lossodromie sul globo terrestre e sulla carta di Mercatore.

Fonti principali: 

João Filipe Queiró – Pedro Nunes e as Linhas de Rumo – Gazeta de Matematica, Julho 2002, n. 143 (pp. 42-47) 

 W. G. L. Randles – Pedro Nunes e a Desccoberta da Curva Loxodromica - Gazeta de Matematica, Julho 2002, n. 143 (pp. 90-97)

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